Estetica
 
Contatti


Interventi sul Corpo in Chirurgia Estetica: SENO

vedi anche:

- aumento del seno senza bisturi
- mastoplastica riduttiva

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pre - intervento_________________post - intervento

MASTOPLASTICA ADDITIVA

1 – LE PROTESI MAMMARIE

La protesi ideale non è stata ancora costruita. Le caratteristiche degli involucri, dei filler e della forma delle attuali protesi sono molto migliorate ma i criteri ideali non sono ancora stati raggiunti.

LEGISLAZIONE ATTUALE ADOTTATA A LIVELLO NAZIONALE E COMUNITARIO IN MERITO AI DISPOSITIVI MEDICI E ALLE PROTESI MAMMARIE.

La Direttiva Comunitaria 93/42/CEE e il D.L. 46/97.
La normativa vigente attualmente in Italia in merito ai dispositivi medici procede dall’attuazione stabilita con il Decreto Legislativo del 24 febbraio 1997, n. 46 (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 marzo 1997, n. 54, Supplemento Ordinario) della direttiva 93/42/CEE emanata dalla Comunità Europea. Tale normativa assegna al Ministero della Salute, in qualità di autorità competente, il compito di coordinare la vigilanza ed il monitoraggio sulla circolazione dei dispositivi medici. A tale scopo è preposto (in attuazione della normativa) un apposito Ufficio del Dipartimento delle professioni sanitarie, delle risorse umane e tecnologiche in sanità e dell’assistenza sanitaria di competenza statale. Per svolgere in modo efficace questi compiti il decrreto legislativo sopra citato obbliga i produttori e i responsabili dell’immissione in commercio di registrarsi al Ministero della Salute fornendo l’elenco dei dispositivi prodotti.
Nell’attuale legislazione viene definito dispositivo medico “qualsiasi strumento, apparecchio, impianto, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software informatico impiegato per il corretto funzionamento, e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell’uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l’azione principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici né mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi”.
La Direttiva 93/42/CEE dispone regole generali per l’immissione in commercio e la messa in servizio di ogni tipo di dispositivo medico ivi comprese le protesi mammarie. La Direttiva prevedeva, all’articolo 22 comma 4, l’accettazione e l’immissione in commercio e la messa in servizio di dispositivi conformi alla normativa in vigore sul territorio al 31/12/1994 (norme nazionali preesistenti) per un periodo di cinque anni successivi l’adozione della Direttiva, periodo terminato il 14/06/1998. Da tale data non sono più in vigore le norme nazionali preesistenti e tutti i dispositivi immessi in commercio devono essere conformi alla direttiva 93/42/CEE.
Le novità introdotte dal decreto legislativo 46/97 in base all’attuazione della Direttica comunitaria sono numerose e modificano profondamente le regole esistenti in ambito nazionale. Lo scopo principale della direttiva è stato quello di legare i fabbricanti a standard di produzione decisi a livello europeo rendendo indispensabili la registrazione dei prodotti e molto più sicure le procedure di controllo e di vigilanza sia sulla qualità del prodotto sia sull’eventuale comparsa di complicazioni e danni all’operatore o al paziente successivi all’introduzione del prodotto nel mercato. In assenza di una legislazione precisa gli standard di qualità richiesti erano di natura generica legati al rispetto di regole di igiene e di produzione svincolate dal controllo di organismi esecutivi predisposti.
Ai fini della valutazione di conformità i dispositivi medici vengono raggruppati in quattro classi di prodotti (I,IIa,IIb,III) in base a regole di classificazione che tengono conto della vulnerabilità del corpo umano e dei rischi potenziai connessi con l’elaborazione tecnologica dei dispositivi e con la loro fabbricazione. La temporaneità della loro applicazione e l’invasività intesa come livello di integrazione con l’organismo rappresentano le regole principali di classificazione. I criteri di classificazione sono compendiati nell’allegato IX del decreto che prevede delle definizioni, la classificazione e le regole generali per la classificazione dei singoli dispositivi nella classe appropriata. In particolare i dispositivi sono suddivisi in base alla loro invasività (non invasivi/invasivi di tipo chirurgico o impiantabili/ invasivi di tipo non chirurgico), alla loro durata di permanenza nell’organismo (temporanea, breve o lunga) e al loro livello di interazione con l’organismo (organo o funzione vitale) e alla natura di questa interazione (radiazioni ionizzanti, contatto chirurgico o altro). Ne consegue una caratterizzazione completa ma complessa degli innumerevoli dispositivi medici disponibili. E’ bene notare come ad ogni classe appartengano principalmente dispositivi di un certo tipo ma anche alcuni dispositivi che corrispondono anche a criteri di altre classi. Per ogni classe sono presenti quindi numerose eccezioni.

La classificazione suddivide i dispositivi medici in ampie categoria di rischio cui appartengono differenti criteri di valutazione di conformità, di vigilanza e quindi di responsabilità da parte dei fabbricanti.

1.2.2 Le novità della presente legislazione
I concetti fondamentali alla base della nuova legislazione possono essere riassunti nei seguenti punti:

* Adottare provvedimenti che consentano la libera circolazione in ambito comunitario di merci, persone, servizi e capitali
* La necessità di provvedere procedure di certificazione e di controllo a livello comunitario
* La necessità di armonizzare le disposizioni nazionali in materia di sicurezza e protezione della salute dei pazienti, degli utilizzatori e di eventuali terzi
* La necessità che i dispositivi medici garantiscano a pazienti, utilizzatori e terzi un elevato livello di protezione

Il sistema di certificazione e garanzia di qualità così delineato si basa oggi su procedure legate alla diversa complessità e delicatezza dei prodotti con il coinvolgimento di organismi designati dall’Autorità competente che intervengono nella verifica.

I fabbricanti sono responsabili della progettazione, della fabbricazione, dell’imballaggio e dell’etichettatura dei dispositivi immessi in commercio. Essi devono seguire specifiche procedure per la valutazione della conformità del prodotto differenziate in base al rischio che il dispositivo comporta sul corpo umano. Implicito in questo princìpio è il fatto che ogni utilizzo di un dispositivo per uso differente da quello indicato dal fabbricante scarica lo stesso da ogni tipo di responsabilità.
La vigilanza sull’applicazione della nuova normativa dipende dal Ministero della Sanità quale autorità competente designata.
Il monitoraggio coinvolge tutte le strutture sanitarie pubbliche e private e gli operatori sanitari che utilizzano dispositivi medici; detti soggetti sono tenuti a comunicare al Ministero della Sanità qualsiasi alterazione delle caratteristiche dei prodotti o inadeguatezza nelle istruzioni per l’uso da cui potrebbe derivare il decesso o il grave peggioramento della salute di un paziente o di un operatore.
Infine la pubblicità dei prodotti deve essere autorizzata, al fine di evitare pubblicità ingannevoli, da una apposita Commissione Ministeriale.
Una importante regola ,enunciata dall’articolo 7 del presente decreto con il nome di clausole di salvaguardia, prevede la possibilità di rimozione dal mercato, da parte delle autorità competenti, di un dispositivo che, pur essendo conforme a quanto stabilito dal decreto stesso, dimostri la possibilità di provocare danni alla salute del paziente o dell’operatore. Queste clausole sono state impugnate dal ministero della salute e dalla commisione di farmacovigilanza francesi nel 1995 per vietare l’utilizzo di qualsiasi tipo di protesi mammaria eccetto quelle riempite con soluzione fisiologica.

Situazione legislativa precedente alla Direttiva 93/42/CEE e al D.L. 46/97.
L’attuale situazione deriva da un periodo piuttosto lungo di carenza legislativa, a livello mondiale, concernente le protesi mammarie. Negli anni ’60 quando sono state introdotte per la prima volta le protesi mammarie sul mercato non esisteva nessuna legge che richiedesse valutazioni pre commerciali riguardo alla tossicità e alle possibili complicazioni derivanti dal loro utilizzo. Per molti anni non ci sono stati vincoli legislativi neppure in merito alla documentazione della composizione degli impianti o al tipo di impianto utilizzato in uno specifico paziente. Tali carenze hanno negato fin dal principio la possibilità di una sorveglianza sistematica a lungo termine sulle conseguenze negative derivanti dall’utilizzo di protesi di silicone. Per questo motivo la letteratura scientifica non ha prodotto fino alla fine degli anni ’80 alcuna revisione sistematica delle complicanze. Solo in seguito all’emergere di numerosi casi di complicanze a lungo termine e alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica prima e degli organismi competenti poi sono andati emergendo i rischi connessi al loro utilizzo. L’evoluzione della legislazione in Europa ha seguito quella avvenuta negli Stati Uniti.

Evoluzione legislativa in Europa

La crescente preoccupazione manifestata dagli Stati Uniti riguardo alle protesi mammarie negli anni ’80 ha avuto conseguenze anche in Europa dove sono stati istituiti diversi gruppi indipendenti di studio e di ricerca per comprendere il problema in assenza di un quadro legislativo di riferimento.
In Gran Bretagna la Medical Devices Agency (MDA), istituita come organo esecutivo nel 1994 e presente in epoca precedente come Ufficio Direttivo per i Dispositivi Medici, ha realizzato numerosi studi per valutare la sicurezza delle protesi al silicone:

* Medical Devices Directorate study,1991: sul legame tra protesi mammarie e connettiviti.
* External Advisory Group of the Dept.of Health (MDA),review, 1992: sui rischi locali e sistemici delle protesi mammarie.
* External Advisory Group of the Dept. of Health (MDA),review,1994: aggiornamento dello studio precedente.
* Independent Review Group, 1998: studio sui rischi generali legati alle protesi mammarie e sul consenso informato fornito ai pazienti operati.

Nessuno degli studi sopra citati ha rilevato una relazione definita tra protesi mammarie e danni sistemici all’organismo in accordo con i principali studi eseguiti in altri paesi. Pertanto gli impianti al silicone sono tutt’ora in commercio e non sono soggetti in Gran Bretagna ad alcuna restrizione.
Nel 1993 è stato istituito un registro nazionale delle protesi con il fine di monitorare accuratamente la popolazione impiantata e i tipi di protesi utilizzate per futuri studi.
Nel 1996 uno studio importante è stato eseguito in Francia dall’ANDEM (Agence nationale pour le developpement de l’evaluation médicale) raggiungendo le stesse conclusioni degli studi inglesi o dello studio effettuato dallo IOM riguardo ai rischi chirurgici di rottura e contrattura e i rischi di danni sistemici.
La Francia e l’Inghilterra, responsabili in Europa degli studi più importanti hanno seguito scelte differenti in sede europea. In Inghilterra l’MDA quale organo del Dipartimento della Sanità ha valore esecutivo e le disposizione da essa indicate vengono applicate sul territorio.
In entrambi i paesi le rispettive autorità di controllo hanno emanato direttive specifiche bloccando l’utilizzo di alcuni impianti protesici in seguito al riscontro della mancanza di dati clinici di sicurezza ed efficacia o in base alla notifica da parte di ricercatori incaricati della presenza di rischi specifici connessi all’utilizzo di un determinato materiale.
La Francia pur avendo recepito completamente la Direttiva 42/93/CEE ha deciso di far uso delle clausole di salvaguardia corrispondenti all’articolo 7 della Direttiva. Il 10 Maggio 1995, dopo l’entrata in vigore della Direttiva, il governo francese ha bloccato l’utilizzo di tutte le protesi mammarie eccetto quelle riempite con soluzione fisiologica a scopo precauzionale e finché non fossero stati adempiuti gli obblighi necessari per conformarsi ai criteri restrittivi decisi dal governo. Il blocco è stato rinnovato ogni anno fino al Luglio 2001 per quasi tutte le protesi. Da questa data le protesi al silicone prodotte dalla Sebbin e dai Laboratoires Eurosilicone sono state riammesse sul mercato in seguito alle garanzie inviate dalle aziende produttrici.
La Francia e l’Inghilterra sono le uniche due eccezioni in ambito europeo. L’Inghilterra , non facendo parte dell’Unione Europea non segue la Direttiva 42/93. La Francia ha invece deciso di adeguare i criteri restrittivi previsti dalla stessa. In tutti gli altri paesi membri dell’UE non esiste alcuna restrizione all’utilizzo di impianti con qualsiasi tipo di riempimento. La responsabilità riguardo alla corretta informazione del paziente e il diritto del paziente di essere adeguatamente informato dei rischi e dei benefici dell’intervento cui si sottomette sono disciplinati dalle legislazioni nazionali.
L’argomento è stato discusso più volte nel parlamento europeo dove sono state fatte almeno due interrogazioni parlamentari riguardo ai rischi posti dalle protesi al silicone da parte degli eurodeputati Heidi Hautala il 16 Maggio 1997 e Doeke Eisma il 3 Giugno 1998 pubblicate nelle gazzette ufficiali dell’UE. In risposta alle questioni di sicurezza sollevate nel Parlamento sono stati commissionati lo studio delle caratteristiche di sicurezza degli impianti (biocompatibilità, proprietà meccaniche, diffusione del materiale di riempimento, invecchiamento, stabilità ed etichettatura) al comitato europeo per la standardizzazione (CEN) e la creazione di un protocollo standardizzato per il consenso informato all’EQUAM (European Committee on quality assurance and medical devices in plastic surgery). Nel Marzo 1999 due associazioni di supporto di donne sottoposte ad intervento di mastoplastica additiva che avevano accusato molte complicanze hanno inviato una petizione al Parlamento Europeo chiedendo la dismissione immediata di ogni tipo di protesi al silicone dal mercato.
Le preoccupazioni riguardo ai rischi connessi all’utilizzo dell protesi al silicone ha spinto il Parlamento Europeo a commissionare un’indagine conoscitiva, indipendente dagli studi nazionali già riportati, all’organo deputato, il Scientific and Technological Options Assessment (STOA) per decidere una condotta uniforme a livello europeo. Lo studio commissionato nel 1998 ad un gruppo di esperti guidati dal Prof. José Martin-Moreno è stato pubblicato dallo STOA nel Giugno 2000. Nel Novembre 2001 la Commissione ha emanato una Comunicazione (COM 666 definitiva) a carattere non vincolante concernente i provvedimenti adottati a livello nazionale ed europeo in merito alle protesi mammarie.

Rapporto STOA sui rischi posti dagli impianti mammari al silicone
L’obiettivo principale dello studio condotto dal Scientific and Technological Options Assessment (STOA) quale organo scientifico conoscitivo del parlamento europeo è stato quello di fornire al Parlamento stesso circa le possibili condotte alternative da tenere nei confronti delle protesi mammarie basandosi su un’analisi esauriente della letteratura scientifica esistente sull’argomento e sull’ascolto dei vari soggetti interessati.
Le conclusioni del gruppo di studio riguardo ai rischi di danno sistemico e locale sono di completo accordo con la letteratura internazionale riconoscendo che i dati oggi disponibili permettono di stabilire che:

* non vi è aumentato rischio di cancro alla mammella nè di sindromi autoimmuni definite o connettiviti
* non vi sono prove sufficienti a dimostrare l’esistenza di una sindrome connettivale atipica ma questa non può essere esclusa e l’argomento necessita di ulteriore ricerca
* non vi sono dati sufficienti per stabilire un’aumentata incidenza di sintomi neurologici
* non vi sono dati di danni ai bambini allattati al seno materno di donne con impianti di silicone
* l’interferenza con la mammografia esiste e richiede tecniche speciali per ottenere un’indagine accurata ed evitare il danneggiamento dell’impianto
* i rischi chirurgici locali a breve e lungo termine (reintervento, rottura, perdita di contenuto, contrattura, infezione, ematoma, dolore) sono estremamente frequenti e sono da ritenere il principale problema di sicurezza oltre ad essere il principale motivo di reclamo da parte delle pazienti.
* le protesi mammarie hanno una durata limitata nel tempo che non è ancora possibile stabilire. Il rischio di dovere sostituire gli impianti nel corso della vita è elevato. A questo proposito non esistono ancora dati sui prodotti di terza generazione.

CLASSIFICAZIONE DELLE PROTESI

Considerazioni generaliDal 1963 ad oggi la costituzione di base delle protesi mammarie è rimasta quasi invariata dal punto di vista concettuale: un involucro di elastomero di silicone racchiudente un contenuto di natura variabile. In Europa e in assoluto nel mondo il contenuto più largamente utilizzato è stato il silicone. Nel corso degli anni sono stati sperimentati e commercializzati diversi materiali di riempimento ma l’involucro è rimasto sempre di elastomero di silicone. Anch’esso è andato incontro a modifiche importanti dal punto di vista chimico-fisico e sono notevolmente migliorate le caratteristiche di sicurezza. Le modifiche apportate all’involucro dal momento della sua introduzione hanno visto il succedersi di tre generazioni di impianti:

* Ia generazione: involucro spesso e superficie liscia
* IIa generazione: involucro sottile e superficie liscia
* IIIa generazione: involucro spesso e superficie testurizzata

Questa suddivisione è piuttosto artificiosa ma è utilizzata in letteratura in relazione alla valutazione a lungo termine delle complicanze e degli studi di meta-analisi.
La prima generazione corrisponde ai primi impianti della Dow Cornig (Silastic 0) commercializzati tra il 1963 e il 1977.
La seconda generazione si riferisce agli impianti della Dow Cornig (Silastic I) commercializzati tra il 1972 e il 1986.
Nel 1979 la McGhan e la Heyer-Schulte hanno introdotto per primi gli involucri con barriera al fluorosilicone, seguiti nel 1981 dalla Dow Cornig. In seguito tutti i principali produttori di protesi hanno introdotto un sistema di barriera nei propri impianti.
Il rivestimento al poliuretano, introdotto nel 1968 dalla Surgitek ha dimostrato di ridurre drasticamente l’incidenza di contrattura capsulare in pazienti impiantate per la prima volta e in caso di revisione secondaria. Negli Stati Uniti in seguito alla segnalazione della formazione di 2-toluendiamide quale prodotto di degradazione del poliuretano e ritenuto carcinogenico, ha portato ad una riduzione tale della domanda fino alla rimozione volontaria dal mercato da parte dell’azienda produttrice. Le protesi con rivestimento al poliuretano sono ancora oggi disponibili e sono prodotte dalla Polytech Silimed.
I materiali di riempimento disponibili sono più numerosi e molti di questi sono commercializzati senza restrizioni in gran parte dell’Europa.

I siliconi: l’involucro delle protesi e il gel di silicone

I siliconi sono miscele di polimeri di silice ed ossigeno con gruppi metilici laterali, la molecola base è il dimetilsiloxano[SO(CH3)2]. I siliconi o polisiloxani sono considerati derivati organici del silicio e possiedono almeno un legame silicio-carbonio.
Il silicio (Si 14) non si trova mai in natura come elemento isolato ma solo sottoforma di silice e silicati, rappresenta il secondo elemento più abbondante sul pianeta dopo l’ossigeno. Gli organosilicati sono conosciuti come siliconi.
I siliconi hanno proprietà fisico-chimiche particolari che li fanno considerare come un compromesso tra un composto minerale, la silice, e i polimeri organici.
Una caratteristica fondamentale è la stabilità alle temperature.
Sono idrofobi, non adesivi e hanno un basso coefficiente di viscosità. La quantità di cross-linking tra i polimeri di dimetilsiloxano determina le proprietà del silicone.
Il silicone può assumere lo stato liquido degli olii e dei gel, quando i polimeri sono corti e linerari, e quello solido delle gomme quando presentano catene lunghe e ramificate.
In forma fluida hanno numerosi usi industriali e vengono impiegati come lubrificanti, ingrassanti e liquidi per ammortizzatori, nella produzione di cere e come componenti in alcuni prodotti di cosmetica. Le resine sono utilizzate nella composizione di pitture e vernici.
I gel, le gomme ed altri tipi di polimeri hanno ampio utilizzo in campo biomedico. I siliconi utilizzati nella produzione di materiali biomedici sono altamente purificati e privi di inclusi. Il silicone non si disintegra nel corpo ed è inerte nella sua forma solida.
Nella forma liquida o sottoforma di gel il silicone dà luogo a reazione tissutale infiammatoria da corpo estraneo e a una risposta immune di IV tipo.
Le gomme di silicone sono utilizzate per la produzione dell’involucro esterno. Sono relativamente fragili e permeabili. La loro solidità può essere aumentate incrementando la quantità di cross-linking tra i polimeri che la costituiscono come nel caso dei cosiddetti elastomeri HP (high performance). I sistemi antidiffusione degli impianti commercializzati oggi utilizzano due strati di elastomero HP separati da uno strato di fluorosilicone.
Il processo di produzione degli elastomeri è differente per le protesi che verranno riempite di soluzione fisiologica e di gel di silicone. Nei primi la polimerizzazione avviene con un processo di vulcanizzazione a freddo (RTV o room temperature vulcanized), per i secondi ad alta temperatura (HTV o high temperature vulcanized).
Gli involucri di silicone vengono sottoposti a numerosi tests per la loro purificazione. I materiali finiti devono essere omogenei, privi di tracce di materiali volatili o pesanti, la quantità di cross-linking deve essere misurata ed essere uniforme. Il gel di silicone viene sottoposto agli stessi tests dell’involucro.
Entrambi sono sottoposti a tests tossicologici, farmacocinetici e di biocompatibilità. Il gel di silicone è il materiale di riempimento più comune ed è quello più largamente utilizzato. Recentemente è stato introdotto sul mercato un gel di silicone coesivo con caratteristiche nuove in termini di consistenza, di resistenza alla diffuzione extraprotesica e di mantenimento della forma.

Il poliuretano

Il poliuretano è un polimero formato a partire da un racemato di 2,4-toluene diisocianato e 2,6-toluene diisocianato. Il poliuretano, una volta impiantato, viene lentamente degradato nel corpo umano nel corso di 2-3 anni. Si ritiene che proprio questo suo lento riassorbimento sia alla base delle sue proprietà di riduzione della contrattura capsulare: il riassorbimento infatti impedirebbe la formazione di una capsula continua con tendenza alla contrattura centripeta.
Uno studio del NCI (National Cancer Institute) ha dimostrato la carcinogenicità del 2,4-toluendiamina (2,4-TDA) in ratti nutriti con alte dosi del composto. Sulla base di questa segnalazione sono stati pubblicati alcuni studi in cui venne misurata la concentrazione del prodotto di degradazione incriminato in pazienti impiantate con protesi al silicone, trovando livelli di 2,4-TDA potenzialmente pericolosi. Tali studi però presentavano errori metodologici nel prelievo dei campioni e nella loro analisi. L’FDA commisionò uno studio alla Emory Clinic, Bristol-Myers Squibb Pharmaceuticals Research Institute e alla Environ Corporation. I risultati dimostrarono che i livelli di 2,4-TDA a valori fisiologici di pH e temperatura sono estremamente bassi e il polimero è degradato con clivaggio dei legami esterici con una produzione molto bassa di 2,4-TDA. Sulla base di questo studio l’FDA in un comunicato ai consumatori ha dichiarato che il rischio di carcinogenicità è estremamente basso e trascurabile (all’incirca di 1:1.000.000).Le protesi al poliuretano sono sempre state disponibili in Europa senza limitazioni.

Le protesi al poliuretano offrono i seguenti vantaggi:

1. Controllo della contrattura capsulare in casi plurioperati
2. Bassa incidenza di contrattura capsulare nelle mastoplastiche additive primarie
3. Alta percentuale di buoni risultati estetici

In una recente revisione sulll’argomento vengono riportati i dati di uno studio non pubblicato eseguito su 227 pazienti (360 mammelle) rioperate per contrattura capsulare in cui sono successivamente state impiantate protesi con rivestimento di poliuretano. Le pazienti trattate con capsulectomia totale o cambiamento del piano di dissezione ed inserimento di protesi al poliuretano, la recidiva di contrattura a 2-7 anni si è mantenuta al di sotto del 2%. Nelle pazienti trattate con capsulotomia ed inserimento di protesi al poliuretano la recidiva è stata del 45.9%. Sebbene le protesi al poliuretano riducano l’incidenza di contrattura capsulare la capsulectomia totale è una manovra indispensabile nel trattamento di questa complicanza.

Trigliceridi vegetali: l’esperienza Trilucent

I trigliceridi vegetali sono polimeri organici biocompatibili, nonallergenici, e si credeva anche non tossici, non carcinogeni e non teratogeni. Il primo e l’unico ad essere utilizzato clinicamente è stato l’olio di soia materiale utilizzato come riempimento delle protesi Trilucent prodotte dalla Lipomatrix (oggi AEI Inc.).
La viscoelasticità dell’olio di soia e di altri tipi di olio, come quello di arachidi, si colloca a metà strada tra quella del gel di silicone e della soluzione fisiologica.
I trigliceridi sono formati da lunghe catene di atomi di carbonio e quindi sono radiotrasparenti alla mammografia (fattore legato al numero atomico del carbonio). Numerosi studi effettuati negli anni hanno dimostrato la superiorità dei trigliceridi rispetto ad ogni altro materiale di riempimento nei confronti della radiotrasparenza alla mammografia.
Le proprietà lubrificanti dei triglicerdi in fase liquida inoltre riducono l’attrito e la possibile abrasione della superficie delle protesi.
Nel marzo 1999 l’MDA ha emanato un avviso riguardo alla sicurezza a lungo termine di questi impianti in relazione alla possibilità della formazione di prodotti teratogeni derivati dalla degradazione dell’olio di soia. La compagnia ha volontariamente ritirato dal commercio gli impianti ed ha accettato di condurre ulteriori studi tossicologici sui prodotti di degradazione dell’olio di soia. I risultati preliminari di questi studi suggeriscono la reale possibilità di formazione di prodotti teratogeni di degradazione. Attualmente l’MDA e la AEI Inc. stanno conducendo insieme ulteriori studi. L’MDA specifica inoltre che non vi sono ancora dati per stabilire se esista realmente un rischio aumentato di cancro o di teratogenicità.
Le conclusioni del gruppo di esperti convocato dall’MDA (Trilucent Advisory Group) ha richiesto a scopo precauzionale la rimozione di tutti gli impianti Trilucent e ha suggerito alle donne impiantate di non allattare fino alla rimozione degli impianti.
Un recente studio condotto dalla associazione inglese di chirurgia plastica ha esaminato istologicamente la capsula di pazienti impiantate con protesi Trilucent trovando inclusioni verosimilmente riferibili all’olio di soia diffuso dalla protesi e hanno rinnovato le raccomandazioni della MDA.

L’idrogel

L’idrogel è un polimero organico formato da una miscela di polisaccaridi e acqua. La sua composizione è simile a quella del destrano utilizzato ad esempio come liquido da infusione. Come quest’ultimo comporta il rischio di anafilassi e di ipertonicità dei liquidi interstiziali in caso di diffusione.
L’idrogel ha la caratteristica di trattenere acqua nella sua struttura senza dissolversi, andando incontro a imbibizione. Sono stati descritti casi di edema della mammella in seguito a rottura dell’impianto.
L’idrogel non è un prodotto chimico unico ma piuttosto una famiglia di prodotti chimici con le stesse caratteristiche. La composizione dell’idrogel degli impianti oggi in commercio è differente a seconda dei fabbricanti. Questi impianti sono attualmente prodotti dalla PIP (PIP hydrogel), dalla NovaMed (NovaGold) e dalla Arion (Monobloc).
L’idrogel della PIP è composto da idrossipropilcellulosa, quello degli impianti Monobloc della Arion di carbossimetilcellulosa. Le protesi NovaGold della NovaMed sono una miscela di idrogel e di polivinilpirrolidone.
In Gran Bretagna l’MDA ha bloccato le protesi prodotte dalla PIP e dalla NovaMed facendole ritirare dal commercio per la inadeguatezza dei dati forniti dal produttore.

Il polivinilpirrolidone

Il PVP è un gel a baso peso molecolare in equilibrio osmotico e rapidamente escreto dal rene in caso di diffusione al di fuori della capsula periprotesica. E’ più radiotrasparente del silicone e della soluzione fisiologica ma meno dei trigliceridi. E’ stato prodotto solo dalla NovaMed Società che fabbrica in Germania e negli Stati Uniti ma che commercializza i suoi prodotti solo in Europa. La loro vendita è stata bloccata in Gran Bretagna e Francia. La Novamed sta cercando di ottenere dalla FDA un IDE per le protesi Novagold.

Altri materiali di riempimento

In letteratura sono descritti altri materiali utilizzati in modelli animali, ma che non hanno mai raggiunto l’approvazione per un trial clinico. Uno studio preliminare su modello animale ha considerato l’acido ialuronico come filler, con un follow-up di un anno, senza rilevare effetti dannosi e mettendo in luce la sua maggiore radiotrasparenza nei confronti del gel di silicone e della soluzione fisiologica. Sempre in laboratorio è stato sperimentato su un modello animale (coniglio), l’utilizzo del glicole polietilenico come filler protesico. Il glicole polietilenico è utilizzato normalmente come additivo per cosmetici, cibo e per i prodotti di preparazione intestinale. Attualmente non sono in corso studi clinici su entrambi i materiali.

Criteri di classificazione delle protesi

Da un punto di vista strutturale le protesi mammarie sono tutte costituite da un involucro di silicone e da un contenuto. Alcune caratteristiche quali la struttura delle valvole per l’introduzione del liquido di riempimento, i patch di fissazione (ormai rari), i sistemi di orientamento delle protesi, la presenza di sepimentazioni interne nelle protesi a camere multiple, le saldature sul contorno delle protesi sono state utilizzate per una classificazione ad uso radiologico delle protesi mammarie da parte della Radiological Society of North America (RSNA) pubblicata nel 2000.
Questa classificazione è molto accurata e permette di riconoscere ogni tipo di impianto mediante risonanza magnetica ma non è molto utile per la valutazione preoperatoria chirurgica e la scelta dell’impianto. A fini chirurgici e soprattutto per mettere in evidenza i possibili vantaggi e svantaggi dei diversi modelli è più utile prendere in considerazione gli aspetti più importanti dal punto di vista clinico e cioè la forma, la superficie, il profilo, il contenuto ed il tipo.

Forma

La forma degli impianti è stata il terreno di maggiore evoluzione in termini commerciali in questi ultimi anni.
Le protesi tonde, le prime ad essere state disponibili, sono ancora oggi le più utilizzate. Le più diffuse sono riempite con gel di silicone. Sono disponibili con ogni tipo di superficie, contenuto e profilo, definitive, preriempite, gonfiabili, a camera unica e doppia.
Le protesi anatomiche sono state create per conferire al seno un aspetto più naturale. Il polo superiore è appiattito e degrada verso un polo inferiore pieno dove, generalmente, si trova la massima proiezione dell’impianto.
Le protesi anatomiche, soprattutto quelle riempite con gel di silicone coesivo, mantengono la loro forma sia in orto che clinostatismo e garantiscono un risultato più prevedibile. La possibilità di scegliere l’altezza dell’impianto in base alle proporzioni del torace e la mancanza dell’effetto di collasso garantiscono un polo superiore stabile.

Superficie

Le caratteristiche di superficie oggi in commercio sono di tre tipi: liscia, testurizzata e al poliuretano. Le protesi a superficie liscia vengono oggi utilizzate molto raramente.
L’esperienza del poliuretano ha dimostrato la possibilità di ridurre il fenomeno della contrattura capsulare ricoprendo gli elastomeri con una superficie irregolare e ha spinto verso la ricerca di soluzioni alternative. Le protesi testurizzate rapprensetano l’esito di tale ricerca. Esistono due tipi di testurizzazione:

* Testurizzazione positiva: provoca un effetto di tipo abrasivo. L’intensità della testurizzazione è variabile da un prodotto all’altro e dà luogo ad una raccolta di liquido infiammatorio periprotesico in quantità variabile. E’ possibile una certa mobilità dell’impianto.
* Testurizzazione negativa: provoca un effetto di ritenzione facendo aderire la capsula periprotesica all’involucro della protesi (es.Biocell, Microcell).

Dimensioni

Le dimensioni da considerare nella scelta di un impianto sono la base, l’altezza e il profilo. Questi parametri vanno valutati in armonia con le dimensioni della ghiandola presente e del torace. Nella ricostruzione e nella mastoplastica additiva un’ importanza particolare ha il profilo.
Oggi anche le protesi tonde sono disponibili con diversi profili e la scelta deve seguire le caratteristiche anatomiche del seno che deve essere aumentato o ricostruito. Le protesi anatomiche garantiscono maggiore proiezione per unità di volume di riempimento e permettono di utilizzare volumi inferiori ottenendo la stesssa proiezione.

Contenuto

* Le protesi da sempre più utilizzate in Europa sono le protesi al gel di silicone. Dal punto di vista estetico la letteratura internazionale è concorde nel riconoscere alle protesi al silicone un risultato superiore. Buoni risultati si ottengono anche con le protesi riempite con soluzione fisiologica ma se le protesi vengono riempite ai limiti superiori della loro capacità la consistenza è più rigida di quella delle protesi al silicone. Se vengono riempite ai limiti inferiori esiste un aumentato rischio di rottura. Le protesi all’idrogel o al PVP hanno consistenza simile al gel di silicone. Il loro utilizzo è comunque poco diffuso. L’introduzione sul mercato, negli ultimi anni, di protesi anatomiche con gel coesivo in un’ampia gamma di dimensioni ha ulteriormente migliorato le possibilità di pianificazione e di prevedibilità dei risultati. La rottura dell’impianto non provoca la dispersione del contenuto all’interno della capsula o, eventualmente, all’esterno di essa. E’ del tutto abolita la redistribuzione del contenuto dalla posizione clinostatica a quella ortostatica, in misura minore presente anche nelle comuni protesi anatomiche.

Tipo

Le protesi si possono distinguere in tre tipi in base alle loro caratteristiche funzionali e di impiego, alcune possono essere utilizzate sia in sede di ricostruzione che nella mastoplastica additiva, altre hanno impiego unico nella ricostruzione mammaria:

1. Protesi definitive preriempite (PDP): sono le protesi utilizzate nella mastoplastica additiva e nel secondo tempo della ricostruzione mammaria. In qualche caso sono utilizzate anche nella ricostruzione mammaria immediata in un tempo. In Europa il contenuto più frequentemente utilizzato è il silicone, negli Stati Uniti la soluzione fisiologica.
2. Protesi definitiva gonfiabile (PDG): a questo gruppo appartengono sia le protesi da riempire al momento dell’intevento chirurgico e che non dovranno essere sostituite sia le protesi/espansore tipo Becker che una volta riempite vengono lasciate in sede previa asportazione della valvola di riempimento. I due sottogruppi hanno caratteristiche ed impieghi differenti:

* Camera singola: sono rappresentate in massima parte dalle protesi contenenti soluzione fisiologica utilizzate sia nella mastoplastica additiva che nel secondo tempo di una ricostruzione. Negli USA vengono frequentemente utilizzate nella mastoplastica additiva transombelicale (TUBA). Vengono gonfiate al momento dell’intervento chirurgico e posizionate. Alcune permettono piccoli aggiustamenti di volume nei mesi successivi all’intervento.
* Camera doppia: si tratta delle protesi/espansore definitive utilizzate nella ricostruzione immediata e differita quando si desideri evitare il secondo tempo chirurgico di sostituzione. Sono costituite generalmente da un involucro interno da riempire con soluzione fisiologica e da uno esterno preriempito di gel di silicone. Sono disponibili in forma tonda ed anatomica. La superficie è normalmente testurizzata.

1. Espansori: sono gli espansori cutanei utilizzati nel primo tempo della ricostruzione mammaria. Vengono riempiti di soluzione fisiologica fino al raggiungimento del volume desiderato e dopo un periodo di adattamento dei tessuti espansi di 4-6 mesi vengono sostituiti da un impianto definitivo. Sono disponibili con ogni forma: tonda, anatomica, a semiluna, ovale.

RISCHI LEGATI ALL’UTILIZZO DI PROTESI MAMMARIE E COMPLICANZE LEGATE ALL’INTERVENTO CHIRURGICO

Considerazioni generali

Le tormentate vicissitudini legislative cui sono andati incontro gli impianti mammari nell’ultimo decennio soprattutto negli Stati Uniti sono state provocate dalla precoce introduzione sul mercato delle protesi mammarie prima ancora che fossero disponibili studi scientifici validi che ne dimostrassero la loro reale efficacia e sicurezza. Tali studi sono iniziati solo dopo che le complicanze e gli effetti indesiderati si rendessero evidenti.
Una delle difficoltà incontrata cercando di mettere in relazione le protesi mammarie con i rischi ad esse associati è l’elevata eterogeneità degli impianti e quindi delle popolazioni studiate. Le informazioni che oggi possediamo non si riferiscono agli impianti di ultima generazione. Eterogeneità è un fattore legato sia alla diversa costituzione degli impianti nel tempo (con le diverse generazioni che si sono succedute), sia alle differenze proprie di ogni produttore.
Gli Stati Uniti sono stati senz’altro i primi a muoversi e a riconoscere la necessità di ottenere informazioni valide dal punto di vista scientifico prima di prendere una qualsiasi decisione.
Diversi studi sono stati effettuati anche in Europa in particolare in Gran Bretagna e Francia e le informazioni oggi disponibili sui rischi legati alle protesi mammarie provengono da questi studi.
Oltre al problema dell’eterogeneità delle protesi presenti nella popolazione, un’altra problematica incontrata nel disegno di questi studi riguarda la dimensione dei campioni. I campioni utilizzati non sono abbastanza grandi per determinare l’eventuale incremento di incidenza di patologie molto rare come alcune connettiviti.
Pur con queste limitazioni i dati accumulati fino ad oggi escludono per lo più gravi effetti sulla salute degli impianti mammari al silicone o con ogni altro tipo di riempimento e riconoscono che il principale problema legato all’utilizzo delle protesi è rappresentato dalle complicanze locali e dagli esiti che comportano, in particolare la contrattura capsulare, la rottura degli impianti e la frequenza di reintervento. Verranno considerati prima gli studi effettuati sui rischi sistemici ed in seguito le complicanze locali.

Effetti locali e sistemici degli impianti al gel di silicone

* Carcinoma

Gli studi di carcinogenicità sperimentale e i dati epidemiologici raccolti indicano che le protesi al silicone non aumentano il rischio di cancro.

Nel 1967 Bryson e Bischoff hanno effettuato studi tossicologici sugli effetti del silicone iniettato dimostrando che l’effetto carcinogenico nel topo è dovuto a dosi estremamente elevate che non si riscontrano nell’uomo. Casi di carcinoma segnalati in donne portatrici di protesi mammarie non sono aumentati rispetto alla media. Sia l’Independent Review Group (IRG) anglosassone che l’Institute of Medicine (IOM) americano hanno escluso ogni dato statisticamente significativo. Vi sono state segnalazioni di altri tipi di cancro verificatesi in soggetti con protesi mammarie, senza incidenza significativa. Lo studio condotto dallo IOM puntualizza che, data la relativa brevità degli studi effettuati, occorreranno altri studi per conoscere gli effetti a lungo termine.

* Interferenza con la mammografia

Lo studio effettuato dallo IOM ha riassunto 12 ricerche precedenti ed ha stabilito che l’interferenza con la mammografia esiste ed è maggiore quando la protesi viene collocata in sede sottoghiandolare. E’ provocata dalla distorsione della ghiandola e dall’interposizione di una massa opaca che oscura parte della ghiandola. Può essere più difficoltoso il riconoscimento di depositi di calcio nel tessuto cicatriziale peritumorale. La mammografia deve pertanto essere effettuata da un radiologo informato del problema con delle proiezioni particolari (Eklund view).

* Disturbi neurologici

Sono stati segnalati casi di sclerosi multipla, sindrome di Lou Gherig ed altri disturbi neurologici in pazienti con protesi al silicone. Lo studio dello IOM e due altri studi, uno danese (Winther, 1998) e uno svedese (Nyren, 1998) sono stati concordi nell’escludere ogni rapporto con il silicone.

* Connettiviti (sindromi definite)

Gli studi pubblicati finora hanno escluso l’associazione tra protesi al silicone ed aumentato rischio di sindromi connettivali definite autoimmuni (lupus, artrite reumatoide, sclerodermia, sindrome di Sijogren, dermatomiosite, polimiosite) e non autoimmuni (fibromialgia e sindrome da fatica cronica). Lo IOM ha effettuato una review di 17 studi epidemiologici con esito negativo. Stesso risultato hanno avuto tre meta-analisi eseguite da gruppi diversi (Perkins, 1995; Hochberg, 1996; Edworthy, 1998). L’IRG inglese ha raggiunto gli stessi risultati puntualizzando che se il rischio esiste è troppo piccolo per essere quantificato. Più recentemente il National Science Panel ha raggiunto le stesse conclusioni. Infine la più recente ed accurata meta-analisi (Janowsky, 2000) ha riconfermato gli stessi risultati.

* Sindrome connettivale atipica

Il termine malattia umana da materiali alloplastici è stato coniato da Myoshi nel 1964 per descrivere la comparsa di sintomi aspecifici comparsi dopo un intervallo di diversi anni in donne sottoposte ad infiltrazioni con silicone. Nel corso degli anni molte donne con protesi al silicone hanno segnalato la comparsa di sintomi aspecifici e in letteratura si sono moltiplicati i casi segnalati (Patten, 1995; Ericsson, 1998; Brawer, 1996). Alcuni studi hanno mostrato la scomparsa dei sintomi con la rimozione degli impianti (Kaiser, 1990). Il National Science Panel ha identificato 49 sintomi frequentemente riportati. Lo IOM, l’IRG e lo NSP sono concordi nell’escludere ogni dato certo dell’esistenza di una associazione causale tra i sintomi riportati e le protesi al silicone. Gli stessi studi però indicano la necessità di ulteriore ricerca.

Effetti verticali: madre-figlio

* Rischi per il bambino

Gli studi principali tra cui quelli effettuati dallo IOM e dal IRG hanno escluso la possibilità di rischi legati all’allattamento al seno materno. L’FDA riporta uno studio (Hurts, 1996) in cui su 42 donne con impianti mammari il 64% è stato incapace di allattare rispetto al 7% di un gruppo di controllo. Nella sua nota informativa per le donne che desiderano operarsi al seno l’FDA riporta che l’intervento di mastoplastica additiva può significativamente alterare la capacità di allattamento.

Effetti locali a lungo termine: complicanze tardive

Tutti gli studi indipendenti e finanziati dai governi hanno riconosciuto le complicanze locali come il principale rischio per la salute attribuibile all’utilizzo di protesi mammarie.
Tra questi segnaliamo in particolare la contrattura capsulare, la rottura dell’impianto, la diffusione del silicone con i problemi infiammatori locali che comporta e gli eventuali interventi supplementari che si rendono necessari.
La frequenza di queste complicanze come vedremo è molto elevata e giustifica questa posizione.

* Contrattura capsulare

La contrattura capsulare è il risultato di una reazione da corpo estraneo. Quando è grave può provocare dolore, mal posizione dell’impianto e dei tessuti di rivestimento. Si rendono quindi necessari interventi locali (rottura manuale della capsula) o generali per la sua totale o parziale asportazione (capsulectomia) e la sostituzione della protesi. Ogni intervento comporta i suoi rischi propri. La gravità viene definita dalla scala soggettiva di Baker:

1. Il seno aumentato è morbido come un seno senza impianto
2. Impianto palpabile ma non visibile
3. Impianto palpabile e visibile. Seno poco mobile
4. Seno di consistenza dura, dolente e dolorabile, freddo. Distorsione marcata

La insorgenza della contrattura capsulare è un dato certo. Ciononostante molte donne tollerano bene anche gradi elevati di contrattura. Uno studio ha dimostrato che l’85% delle donne di un gruppo sottoposto a mastoplastica additiva erano soddisfatte del risultato anche se il 35% mostrava segni di contrattura elevati (Gilbert, 1990). Uno studio ha descritto un’incidenza di contrattura capsulare grave a 25 anni del 100% (Strom, 1997).
Secondo l’ANDEM, il gruppo indipendente francese, la frequenza di contrattura capsulare è del 41-56% per gli impianti a superficie liscia e di circa il 10% per quelli a superficie testurizzata. Uno altro studio ha mostrato un’incidenza di contrattura di grado III-IV di Baker del 54% nelle ricostruzioni con protesi al silicone (Asplund, 1984). La contrattura capsulare è inoltre maggiore quando l’impianto è in posizione retroghiandolare, in caso di ricostruzione mammaria e quando si tratta di protesi al silicone (Gilbert, 1990; Asplund, 1996).
Due studi recenti prospettici effettuati dalla McGhan e dalla Mentor sugli impianti con soluzione fisiologica hanno dato i seguenti risultati:

* Mentor: su 1264 mastoplastiche additive, 9% contrattura III-IV a 3 anni
* Mentor: su 416 ricostruzioni, 30% contrattura III-IV a 3 anni
* McGhan: su 901 mastoplastiche additive, 9% contrattura III-IV a 3 anni
* McGhan: su 237 ricostruzioni, 25% contrattura III-IV a 3 anni

* Rottura/Perdite

La quantificazione della frequenza di rottura degli impianti protesici a lungo termine è attualmente imperfetta ed approssimativa a causa delle difficoltà epidemiologiche che si incontrano nello studio di questa particolare popolazione di pazienti. Gli studi attualmente disponibili sono studi retrospettivi effettuati su pazienti sottoposte a intervento chirurgico di espianto delle protesi mammarie perché sintomatiche e quindi su una popolazione non sufficientemente eterogenea. Il termine corretto per la valutazione della reale frequenza di rottura degli impianti dovrebbe comprendere le pazienti con rottura asintomatiche, le pazienti con rottura sintomatiche e le pazienti in cui l’impianto sia ancora sano. I numeri relativi dei due dati mancanti comportano un rischio di sopra o sottovalutazione del reale fenomeno. Gli studi effettuati sugli impianti espiantati inoltre sono in grado di stabilire la rottura dell’impianto ma non l’epoca in cui la rottura si è verificata. La correlazione con l’epoca di rottura e quindi con la durata reale dell’impianto è solo indiretta essendo calcolata in base al momento in cui avviene l’espianto. Infine questi stessi studi prendono in considerazione pazienti sottoposte ad intervento in epoche diverse e con impianti troppo eterogenei tra di loro. Gli unici sottogruppi considerati, riguardano gli impianti riempiti con gel di silicone o con soluzione fisiologica, non fanno distinzioni tra i vari tipi di involucro, notevolmente migliorati negli anni e quindi non sono rappresentativi di valori reali. Per questi motivi non è possibile conoscere precisamente l’incidenza e la prevalenza della rottura degli impianti, non è cioè possibile conoscere precisamente la storia naturale di un impianto protesico. I dati disponibili sono comunque numerosi e permettono qualche ipotesi circa la durata degli impianti in silicone riempiti con gel di silicone o con soluzione fisiologica. I primi studi su protesi espiantate hanno segnalato frequenze di rottura del 62.5% a 10 anni (Malata, 1994), del 71.2% a 14 anni e del 95.4% a 20 anni (Robinson, 1995). Uno studio ha cercato di correlare la generazione degli impianti alla frequenza di rottura riportando pochi casi per la prima generazione (1963-1972), il 95% per quelli di seconda (1972-metà anni ’80) e del 3.2% per gli impianti a partire dal 1992 (Peters, 1996).

I dati degli espianti dimostrano una frequenza di rottura del 6% annuo per i primi cinque anni dalla data dell’impianto seguita da un graduale declino negli anni successivi. Secondo lo stesso studio il 30% delle donne trattate con impianti al silicone necessiterà di almeno un secondo intervento nei primi cinque anni dall’impianto delle protesi per complicazioni legate all’intervento.
La FDA ha sponsorizzato una ricerca molto importante per cercare di superare i bias insiti in ogni tipo di studio effettuato su pazienti espiantate per diagnosticare una eventuale rottura delle protesi mammarie sottoponendo un’ampia popolazione di pazienti alle quali era stata impiantata una protesi mammaria a risonanza magnetica.
Lo studio è stato effettuato da Brown e colleghi che hanno studiato la prevalenza di rottura di impianti al gel di silicone rivelata mediante Risonanza Magnetica su 344 donne e 687 impianti. I dati raccolti in questo studio prospettico non presentano delle difficoltà statistiche degli studi effettuati su pazienti espiantate ma si correlano molto bene con gli stessi dati. In questo studio è stata mostrata una prevalenza di rottura del 63% nel 77% delle donne e la vita media di un impianto è stata stimata in 10.8 anni. Lo stesso studio dimostra la migrazione del silicone oltre la capsula nel 21% dei casi e una maggior tendenza alla rottura per gli impianti collocati in posizione retromuscolare.
La perdita di liquido fino allo sgonfiaggio dell’impianto è una prerogativa delle protesi riempite con soluzione fisiologica. Gli studi più importanti per valutare l’incidenza di questa complicazione sono quelli eseguiti dalla Mentor e dalla McGhan:

* Mentor: su 1264 mastoplastiche additive, 3% a 3 anni
* Mentor: su 416 ricostruzioni, 9% a 3 anni
* McGhan: su 901 mastoplastiche additive, 5% a 3 anni
* McGhan: su 237 ricostruzioni, 6% a 3 anni

Lo IOM ha indicato una frequenza del 5-10% a 10 anni in base alla revisione complessiva della letteratura.

* Frequenza di chirurgia supplementare

Le complicazioni a lungo termine finora descritte si traducono nella necessità molto frequente di ricorrere ad ulteriori interventi chirurgici. Gli studi eseguiti dalla Mentor e dalla McGhan sulle protesi saline forniscono i seguenti risultati:

* Mentor: su 1264 mastoplastiche additive, 13% a 3 anni
* Mentor: su 416 ricostruzioni, 40% a 3 anni
* McGhan: su 901 mastoplastiche additive 21% a 3 anni
* McGhan: su 237 ricostruzioni, 39% a 3 anni

Uno studio retrospettivo pubblicato sul New England Journal of Medicine ha riportato un tasso di reintervento in pazienti sottoposte a ricostruzione e mastoplastica additiva con protesi saline e al gel di silicone del 24%.
Secondo questo studio 1 donna su 3 sottoposta a ricostruzione e 1 donna su 8 sottoposta a mastoplastica additiva andranno incontro a complicanze che renderanno necessario un intervento entro 5 anni dall’intervento iniziale.

Effetti locali a breve termine: complicanze immmediate

* Ematoma

E’ una complicanza rara, verificandosi nell’1% dei casi. Di solito capita nelle prime 24h ed è segnalato da dolore improvviso e crescente. Se l’ematoma è significativo va evacuato per ridurre l’incidenza della contrattura capsulare.

* Sieroma

Il posizionamento di drenaggi riduce la frequenza di questa complicanza. Il sieroma come l’ematoma può aumentare il rischio di contrattura capsulare. Un sieroma significativo può inoltre aumentare la possibilità di malposizione degli impianti anatomici.

* Infezione

L’infezione è una complicazione comune ad ogni intervento chirurgico. La presenza di una protesi rende l’infezione più difficile da controllare.
Di solito comporta la sostituzione dell’impianto.

* Modificazioni della sensibilità del capezzolo

La sensibilità può risultare aumentata o diminuita dopo l’intervento. L’anestesia è di solito temporanea ma può in alcuni casi essere permanente.

* Pneumotorace

Sebbene si tratti di una complicazione piuttosto rara diversi casi sono stati riportati in letteratura sia nel caso di posizionamento retroghiandolare che retromuscolare.




 

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